Mini Progetti Due Container Per l’Uganda

La svolta avvenne intorno al 1998. Fino ad allora l’associazione raccoglieva medicinali, vestiti, acquistava apparecchiature e quanto i missionari richiedevano e spediva il tutto in terra di missione. All’inizio si confezionavano pacchi che, ricordo, dovevano pesare meno di 20 kg, altrimenti si pagavano tariffe postali troppo gravose, poi si cominciarono ad utilizzare i container riempiendoli di ogni cosa utile senza altri problemi se non quelli di evitare i furti durante il tragitto. Ma anche se si prendeva la precauzione di  rinforzare le casse con profilati angolari di ferro zincato saldati lungo gli spigoli, profilati che comunque sarebbero stati utili in terra di missione, i furti più o meno continuavano ad avvenire. Era una tariffa cui ci si doveva rassegnare. Dopo il ’98 gli Stati Africani, cominciarono a far pagare dogana, e fin qui niente di male, ma applicavano tariffe così alte che era più conveniente acquistare quelle merci direttamente sul posto. Se avevano l’intenzione di proteggere il mercato interno, sicuramente ci erano riusciti perché l’associazione prese la decisione di non spedire più niente. Ma anche per altre ragioni come quando le suore missionarie di Nangazizi, in Congo, dove avevamo costruito ed arredato un ospedale con 65 posti letto, ci pregarono di sospendere l’invio. Temevano di essere rapinate quando si fosse venuto a sapere che era arrivato nella loro missione un container carico di merce. Ricordo che avevano scritto: ”Finchè sanno che siamo povere non ci danno fastidio.”

Così ci siamo ritrovati con 5 container che man mano abbiamo riempito con quanto non abbiamo potuto spedire, con quello che nel frattempo ci veniva regalato, ed infine con quanto formava il grande capannone che ci ospitava prima di trasferirci nella nuova sede. Il Comune di Ancona ci aveva assegnato a prezzo nominale un’area coperta e là avevamo depositato i nostri container. Correva l’anno 1996. Siamo stati tanto tempo in attesa dei presupposti favorevoli per fare una spedizione in Africa a condizioni che non fossero da capestro. Finalmente ci siamo riusciti. Ci siamo ricordati di Padre Matteo Canovi, missionario Comboniano, nostra vecchia conoscenza di quando alcuni di noi sono stati in Karamoja, Uganda. Il Padre ora si trova in Italia e si dedica all’organizzazione di aiuti per quella regione. Cosa più preziosa, ha trovato il modo di superare le barriere doganali senza pagare troppo dazio. L’abbiamo contattato e si è subito prestato con entusiasmo ad organizzare la spedizione. Il riempimento dei container è stato molto laborioso perché abbiamo dovuto stivare in due cassoni il materiale prima distribuito in cinque. Dico “abbiamo”, ma più correttamente dovrei dire “hanno” perché questa complessa operazione è stata compiuta materialmente da due volontari, di cui non cito il nome perché so che a loro non farebbe piacere, solo saltuariamente aiutati da altri. Si sono impegnati per più di un mese nel caldo di questo autunno anomalo ma ora hanno la soddisfazione di aver fatto una cosa giusta. Hanno contribuito a portare un concreto aiuto alle popolazioni della Caramoja duramente provate dalla guerriglia. Perché tuttora, anche se pare che la ribellione stia per essere domata, la popolazione di quella regione, sfollata dalla campagna per sfuggire alle incursioni dei guerriglieri, vive stipata in grandi campi cintati, alla periferia delle città, dove possono essere protetti dalle truppe regolari ma dove mancano di tutto compreso il materiale per costruirsi un rifugio. Ecco allora che le coperture, i tubi, le coimbentazioni  e quant’altro materiale costituiva il nostro vecchio capannone, che qui ci stava creando solo problemi diventerà prezioso per costruire un ricovero a centinaia di sfollati.

RINGRAZIAMENTI PER I CONTAINERS

 “Con questa mia intendo, a nome della Chiesa e della popolazione del Karamoja ringraziare i  Volontari, i Soci ed i Benefattori dell’Associazione Alìto…” Cosi comincia la lettera di ringraziamento che il Padre missionario, responsabile della Procura di Moroto, Nord Uganda, ci ha spedito dopo l’arrivo dei due containers pieni di beni di vario genere che abbiamo inviato lo scorso autunno. Questa lettera ufficiale era accompagnata da uno scritto di Padre Marco, il missionario che ha curato, venendo anche in Ancona, la spedizione in tutti i suoi dettagli. E’ un missionario che ha il carisma della concretezza. Sapeva trovare una soluzione per tutti i problemi pratici man mano che si presentavano. Anche Padre Marco, che immaginavo preso solo dagli aspetti concreti della vita, ci ha scritto per ringraziarci, e mi ha sorpreso  per la profondità di alcune sue osservazioni. Soprattutto dove dice: “Posso dire che quei containers sono pacchi-dono dove prima di tutto e soprattutto ci siete dentro Voi, amici e familiari.” E’ vero, dentro quei containers c’è sì la fatica di chi li ha riempiti dei beni acquistati per l’Uganda, ma c’è anche la voglia di fare qualcosa di bello di ogni benefattore , le resistenze che ciascuno di voi riesce a superare quando deve decidere se fare o non fare un’offerta, c’è il tempo impiegato per andare alle Poste, la pazienza di sopportare una coda troppo lunga. E’ chiaro che si tratta di sacrifici, ma questi sono anche il cibo con cui si nutre il nostro spirito e di questo cibo c’è molto bisogno e più si va avanti con gli anni più se ne sente la necessità. Diventa il sale con cui si condisce la nostra giornata. Sono le cose che piace ricordare e che ricordiamo anche quando tutto il resto è stato dimenticato.

E’ importante il cibo per il corpo ed io, che ho l’hobby della cucina, lo capisco benissimo, ma è di gran lunga più importante il cibo per lo spirito. E’ quello che ci fa sperare che la nostra esistenza non sia passata invano, che ci assicura che abbiamo lasciato una traccia del nostro essere od essere stati in altri, certamente nei familiari o tra gli amici, ma anche fra gli estranei e non importa se non si incontreranno mai, come può accadere per i bambini che vengono aiutati in Africa o in Sud America. E’ il bisogno di questo cibo che anima i nostri volontari, che da loro la forza di sopportare le difficoltà ed i sacrifici che si devono affrontare quando si vuol far funzionare una struttura come Alìto. E’ la voglia di questo cibo che spinge i nostri benefattori ad imbarcarsi in imprese  a lungo termine come l’adozione scolastica che li impegna per più anni per assicurare il sostentamento agli studi di qualche bambino o ragazzo che non ha la possibilità economiche di intraprendere anche un programma di studi minimale. E’ un cibo che ci fa sentire uomini più realizzati, più padroni della nostra esistenza. Il ringraziamento va soprattutto a voi.